Dove Sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley,
il debole di volontà, il forte di braccia, il buffone, il beone, il rissoso?
Tutti, tutti, dormono sulla collina.
Uno morì con una febbre,
uno fu arso in una miniera,
uno fu ucciso in una zuffa,
uno morì in una prigione,
uno cadde da un ponte lavorando per moglie e figli –
Tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina.
(…)
E.L Masters – Antologia di Spoon River
Andare per cimiteri, soffermarsi a guardare una lapide, un’iscrizione ed immaginare la storia di questa varia umanità che ti scorre sotto gli occhi, da colui che era più potente, a quella tomba più semplice, su cui però abbondano i fiori freschi malgrado tanti anni siano passati dalla morte. Mi piace cercare storie e lasciare che siano le pietre a parlare. O semplicemente lasciare andare i pensieri tra l’erbetta e le sagome severe ed un po’ malinconiche dei cipressi.
Così mi perdonerete se per questo Halloween 2016, invece che di zucche e storie di fantasmi (la mia passione, intendiamoci) vi porto a fare un breve tour nel Cimitero Monumentale di San Vito di Udine. La sua costruzione è iniziata in pieno nel 1818 per terminare soltanto nel 1899. Raccoglie importanti monumenti degli ultimi 2 secoli, offrendo un’importante testimonianza dell’arte funeraria lungo tutto l’800.
“Per decenni queste tombe sono state estremamente loquaci, ricche di segni e di immagini, hanno raccontato le fortune, le virtù civili e familiari dei trapassati e i dolori e le speranze di chi è restato. Questa loquacità probabilmente potrebbe quantomeno stupire, far sorridere o anche scandalizzare molti nostri contemporanei abituati a tombe spesso mute, dove i morti non parlano, le immagini scompaiono assorbite in un’unica fotografia e le parole si contraggono in due date. Il cimitero, come già notava Jean-Didier Urbain, è una sorta di enorme biblioteca, dove si possono consultare le biografie di migliaia di persone, i loro alberi genealogici, cercare informazioni sulla storia economica, politica e culturale di una città o di una nazione, e sfogliare i volumi enciclopedici della loro storia dell’arte e del costume” – Gianmarco Vidor*
Nel cimitero di Udine anche le Tombe del ‘900 e persino nel 2000, non hanno rinunciato a raccontare storie. Magari hanno cambiato il linguaggio, ne hanno adottati di nuovi coerenti al loro tempo ed il linguaggio fortemente simbolico dell’800 è diventato più arcano, più da ricercare nelle linee architettoniche che non nei simboli “evidenti” del passato. Non più agnelli, angeli, urne drappeggiate, ma mura, vetrate, cancelli, volumi che devono raccordare il mondo terreno con un mondo altro, un tutto, un nulla, un’idea… Qui i tanti linguaggi dal più ermetico al più simbolico se non addirittura “barocco” si intrecciano, si alternano ad offrire diverse e personali visioni e filosofie di vita e di morte…
Si arriva al Cimitero, come da tradizione, attraverso un lungo viale di cipressi. L’ingresso è maestoso e le alte colonne sembrano in qualche modo continuare la fila dei cipressi di fuori. É il porticato che mi sorprende, le sue lampade in ferro battuto, i suoi colori ocra qui e lì sbiaditi dal tempo, e nel mezzo un giardino erboso ordinato ed armonico che mi avvolge con un effetto di “deplacement”: potrei essere ovunque in Gran Bretagna ma anche in un giardino Zen nel lontano Oriente.
La prima iscrizione su cui mi sono piegata a leggere è un libro aperto che racconta la storia di 2 fratellini Emilio ed Alma morti entrambi nel 1888 a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro. Avevano 2 e 6 anni. Emilio era “l’adorato angioletto dagli occhi color cielo e dai ricci d’oro” Alma “la pallida bambina dagli occhi neri, pensosi, profondi, la piccola fata che spargeva ovunque luce e profumo”. 130 anni più tardi il dolore dei genitori mi colpisce come fosse cronaca di ieri:“Come il sole tramontate anzitempo, e per non risorgere mai più a rischiarare le tenebre di chi vi piangerà tutta la vita”.
Ogni arcata del colonnato contiene le sue storie. A volte meno esplicite, come se si cercasse rifugio in immagini classiche per poter fronteggiare in modo diverso il dolore della separazione, a ricordare che anche la morte fa parte del ciclo della vita. Quale solennità quelle 2 Cariatidi del 1942 di Max Piccini. Peccato che alcuni affreschi siano gravemente minacciati dall’umidità.
Altre volte invece si sceglie di raffigurare il dolore in maniera più eloquente quasi a rassicurare il congiunto che no, non sarà mai dimenticato:
E quando anche il tempo sarà giunto a battere la sua ultima ora, minuto, secondo, sarà davvero la fine di tutto?
O inizio e fine si abbracciano ed il ciclo continua?
Consigli per la visita al Cimitero Monumentale San Vito di Udine
Come tutti i cimiteri anche quello di Udine al calar del sole con orari cangianti da estate ad inverno. Il crepuscolo in un cimitero ha un che di affascinante e “spooky” ma non arrivate proprio in ultim’ora perché il Cimitero è grande e la visita richiede tempo. Io ci sono stata per un’oretta, ma non sono riuscita a visitare la parte retrostante la Chiesa dove c’è la parte ebraica del Cimitero, né a trovare la tomba D’Aronco.
Dunque un’ora va bene per tutti, ma se proprio siete degli appassionati concedetevene anche 2!
Sul sito del Comune di Udine ho trovato questo PDF (cimitero-monumentale-san-vito-udine) che censisce le Tombe e Lapidi di valore e pregio, indicandone l’anno in cui furono create e dove possibile l’autore.
* Per scrivere questo articolo mi sono ispirata a quello bellissimo, pardon macabro, apparso sul blog di Giorgia Penzo: Sentieri silenziosi, tombe loquaci. Seguendo le sue indicazioni sono finita su questo articolo di Atlas Obscura: A Graphic Guide to Cemetery Symbolism, a questo Dizionario dei simboli funerari ed infine ad un’introduzione a La simbologia funeraria ottocentesca di Gianmarco Vidor da cui ho tratto la citazione in apertura del post.

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