Ho appena scoperto che per un’autentica botta di cu…ore, siamo arrivati a Napoli proprio negli ultimi due giorni dello spettacolo dei fratelli Servillo, La Parola Canta con il Solis String Quartet. Seconda botta di cuore: il Teatro Bellini è a nemmeno 500mt dalla nostra nuova casetta. Su internet cerco 2 biglietti per lo spettacolo della domenica e scopro che abbiamo esaurito la dose di fortuna ed anche i posti a sedere: sold out! Non ci resta che tentare per stasera stessa, ci sono ancora 4-5 posti su su in alto da dove probabilmente non si vedrà una cippa, ma pazienza questo è uno spettacolo tutto da ascoltare piuttosto che da vedere. Su internet le cose procedono troppo lente e temo di vedere scomparire quei pochi posti rimasti, telefono affranta al centralino e 5 minuti dopo i biglietti sono nostri. Alle 17,30 siamo al Teatro Bellini.
Si alza il sipario e dopo uno scrosciante applauso Toni Servillo si alza da uno dei due sgabelli sul fondo e viene avanti dove è posizionato il microfono. Comincia sciorinando i versi di Napule di Mimmo Borrello, una serie di luoghi (molto e poco) comuni su Napoli. Versi lapidali che con due/quattro parole raccontano la città. È un’eruzione di parole, una litania infinita ma dal ritmo serrato, mille e più sillabe al minuto inarrestabili. E le parole rimbalzano sugli spettatori, che ora sorridono, ora scuotono la testa, ora annuiscono, ora si commuovono. Io smetto di seguire le parole e mi lascio andare a quella nenia, dove le parole singole spariscono per diventare un’unica melodia, malinconica e pur sempre innamorata. La voce di Servillo è diventata il quinto arco, non un violino, uno strumento popolare più semplice e trascinante che procede inesorabile, tra mille variazioni di ritmo, a scavarti il cuore…
“Napule cia facimm,
Napule l’avvincimm,
Napule e’ primm,
Napule e’ cazzimm,
Napule e’ cardamm,
Napule e’ mazzamm,
Napule tien famm… attaccat o’ tramm!
(…)
Napule senza famiglie.
Napule senza figlie.
Napule ca ‘u piglie ‘nt’ ‘i pacche mentre figlie.
Napule senza ddie
Napule ‘nnaggia ‘a maronne.”
Ci sono i Solis String un quartetto di archi, a tratti ruffiani, in altri silenti per dare spazio alle voci umane, stregati se lasciati a se stessi. Allora prendono vita loro, il violoncello diventa uno strumento a percussione, i violini si infiammano ed è una musica che ci prende da dentro, ci fa vibrare al suo ritmo, poi ci commuove, ed infine, dopo una pausa di silenzio per svegliarci dall’incantesimo, scoppia un boato di applausi perché tutti abbiamo sentito la stessa indefinibile cosa…
Quando cantano e recitano, i Servillo decidono per l’essenziale, non in senso asettico ma ad eliminare quei quintali di melodia e teatralità che hanno addolcito ai limiti del nauseabondo alcune canzoni classiche napoletane. Persino “Dove sta Zazà” diventa sensuale quanto un tango appassionato, “Maruzzella” sottile, sagace e ritmata.
Le stesse poesie di De Filippo, Viviani e Bovio sono recitate senza troppo indugiare sulle macchiette classiche. Come nella musica non ci sono acuti teatrali, urlazzate e gorgheggi, così nella recitazione tutto si risolve in un’interpretazione asciutta, l’espressività nasce dalla potenza delle parole, non dalle caricature. La voce è al servizio della poesia non dell’attore, sempre alla ricerca delle cose oltre le cose. Nelle poesie le rime sembrano sparire, il ritmo è nella sonorità delle parole, nel loro gioioso o malinconico rincorrersi. Solo Gennaro De Pretore è recitata alla maniera più vicina alla classica, pur sempre senza calcare mai la mano sui personaggi, tanto i versi hanno già tutto dentro, e ci commuove: qui i dialoghi sono grandiosi come i personaggi.
Esco portando con me il senso di quanto Napoli abbia donato all’Italia ed agli Italiani, e anche ho il cuore pieno perché penso a quanta umiltà ci sia nei Servillo, due star internazionali oramai, che non rinunciano alle loro radici, ma come ricercatori scavano per arrivare all’essenza di cose che hanno studiato per anni. Senza rinunciare all’immediatezza ed alla fatica del teatro. Non so dirlo meglio, ma quei visi imperlati di sudore, quella tensione che deve reggere due ore piene di spettacolo, quel leggere, rileggere, provare, reinterpretare quelle cose di cui ti sei nutrito da sempre; invece di fare la star Hollywoodiana, sei lì a fare prove su prove, a sudare l’anima, per noi, un pubblico tutto sommato piccino piccino…
Ecco io credo il nostro soggiorno napoletano non avrebbe potuto avere introduzione migliore. Grazie.