Stamani Giovanni ha proclamato “giornata di recupero”. E quindi eccoci spaparanzati sulle sdraio al sole nel nostro magnifico terrazzo. Guardiamo le incredibili montagne dintorno “ieri eravamo lassù, possibile mai?”. Frodo invece non gradisce affatto l’idea, ci fa un muso lungo lungo e si sdraia nell’erba dandoci il sedere “non siete degni neppure d’un mio sguardo, il Paradiso ci attende e voi fermi qui come due provole a sciogliersi al sole. Che senso ha?” e mentre rimugina il muso si fa ancora più lungo. Non avrete mica pensato per tutto questo tempo che fossimo una di quelle idilliche famiglie in cui si va sempre d’accordo, vero?
Nel pomeriggio (dopo un pisolino per recuperare la stanchezza del bagno di sole mattutino), decidiamo di fare una visita speciale. A Jausiers, c’è ancora un antico mulino (già in funzione nel 1713) ed un mugnaio che se ne prende cura, mantenendolo ancora in funzione e che una volta la settimana apre i battenti al pubblico.
Monsieur Martin ci accoglie fuori dove seduti al sole possiamo ascoltare la sua storia. Ha fatto le elementari qui a Jausiers quando il titolo di studi era ancora una generica “Certification d’étude” non esistevano ancora le elementari, le medie, e neppure i ragazzi erano divisi tra prime, seconde, terze classi. I bambini presenti lo guardano con divertito stupore. Non prosegue gli studi, perché il padre gli dice che lui ha già un lavoro per il resto della sua vita: diventerà, come suo padre e suo nonno prima di lui, un mugnaio. Gli insegna il mestiere che lui apprende con interesse e comincia a lavorare. Ma improvvisamente nel 1972 il mondo è cambiato: i paesani sono andati in città lasciando le terre incolte, e per il mulino niente più grano né clienti, occorre chiudere. Monsieur Martin non si perde d’animo tramite un corso di corrispondenza completa i suoi studi e quindi trova un lavoro come impiegato. E per 30 anni lavora in giacca e cravatta.
Ma cosa era successo? Erano arrivati i mulini industriali, quelli a cilindro, che lavoravano tantissima farina. La impoveriscono di ogni principio vitale (tra questi il famoso germe di grano), la puliscono di ogni traccia della sana crusca (quella stessa che oggi si aggiunge agli alimenti per fare i salutisti) e la rendono un prodotto sterile ma industriale. Cioè si conserva a lungo, lunghissimo tempo senza mai rovinarsi, perché dentro non c’è più nulla di vivo. Era nata la farina 00 e la sua apoteosi. Le massaie vogliono solo quella, costa tanto di meno, i dolci, la pizza il pane crescono tanto più facilmente. Cambia persino il tipo di grano. Quei bei grani di cui il padre gli aveva insegnato il segreto per la miscela perfetta non sono più coltivati. Meglio il grano tenero più ovvio, richiesto dall’industria. È la fine di un mondo.
Ma la nostra è una storia a lieto fine. Nel 2002, nell’ambito di un programma di valorizzazione del patrimonio locale, M. Martin oramai in pensione, può recuperare il mulino di famiglia. Il lavoro più duro che gli tocca è quello di sgomberarlo da tutto quello che in 30 anni si è accumulato all’interno perché era diventato lo scantinato di famiglia, un autentico bazaar senza fine. Poi ci sono stati i lavori di manutenzione, ed infine l’emozione di riaprire la pompa d’acqua (si alimenta dal vicino fiumicello) e vedere tutti gli ingranaggi muoversi come ai vecchi tempi. La prima amara sorpresa fu però trovare che il grano che poteva acquistare in giro dava una pessima farina, impossibile pensare di farci del buon pane. Ma in una vecchia cassa di legno gli parve di riconoscere i grani del passato, quasi per gioco, o forse per pura malinconia, provò a seminarli e sorpresa, erano proprio quelle vecchie qualità di grano che cercava. Oggi il Mulino d’Abriès macina solo il grano prodotto da M. Martin. E con quello, dice orgoglioso, dovreste sentire che farina vien fuori.
È il momento trepidante: entriamo nel mulino. Come un personaggio del Mago di Oz, Monsieur Martin ci mostra con orgoglio tutte le fasi di funzionamento del mulino. Impariamo del sonno del mugnaio, che durante la notte può notare che il suono della macinatura è cambiato. Allora si alza paziente e va a regolare le macine. “L’orecchio” dice ammiccando “l’orecchio è il segreto di un buona farina”. E poi siamo su dove tra profumate nuvole di farina che circolano per aria possiamo infine toccare, odorare, persino assaggiare pizzichi di farina delle varie qualità persino la Fleur de Farine. Il fiore della farina, quella più leggera, più vaporosa ed impalpabile e graziosamente profumata.
Con qualche svolazzo di farina tra i capelli e gli abiti, torniamo fuori, e celebriamo questo ultimo raggio di sole sul terrazzo di un bar di Sauze con una fettona di Tirami Su ai Mirtilli. Frodo non ci porta più il muso, sia perché la storia di M. Martin in fondo è piaciuta anche a lui, sia perché per domani gli abbiamo promesso una nuova spettacolare avventura.
Bellissima storia ! Mi ha ricordato quella di un mulino “a maree” che abbiamo visitato in Bretagna…
Ciao Ciao
Vado subito a spiare sul tuo blog gli articoli sulla Bretagna… io Scozzese per adozione ho con le brughiere e le scogliere un rapporto tutto speciale. Grazie Max <3
Purtroppo non ho ancora avuto l’ispirazione per scrivere della scorsa estate… mi spiace 😉
Infatti ho cercato ma non ho trovato in compenso mi sono rifatta con Normandia e Auvergne 😉
Che bella storia, fatta di amore e di attaccamento alle proprie origini, un vero gioiello quel mulino.
Buona giornata a te!
Oh Miss, che gioia averti qui. Mentre scrivevo questo articolo eri tra i miei pensieri, perché la storia di Monsieur Robert somiglia molto a quella delle vecchie botteghe della tua Zena <3