Le 2 Equazioni: Leggerezza = Viaggiare e Pesantezza = Restare
Vi confesso che da quando ho aperto il blog, trovandomi circondata da Grandi Viaggiatori, ho cominciato a sentirmi un po’ come l’Oca Martin. Quella del libro di Selma Lagerloff “Nils Holgersson”: una comune oca domestica che vede passarsi sulla testa stormi e stormi di oche selvatiche che lanciano versi ai bianchi pennuti delle fattorie invitandole a rinunciare alla pappa certa e osare a mettersi in viaggio con loro. La maggior parte delle oche domestiche snobba le cugine selvatiche come farebbero le formiche con le cicale, trovano impudente e frivolo il loro stile di vita. Ma l’Oca Martin sente crescere ogni giorno di più la forza possente di quel richiamo, la tentazione di vedere il mondo, nonché di mostrarsi anche lei capace di far le cose che fanno quelle, finché un bel giorno non spiegherà le ali, e per un anno farà parte dello stormo di Akka di Kebnekajse. Un anno di viaggi, di avventure e di pericoli, perché la vita delle viaggiatrici è in realtà tutt’altro che semplice ed invidiabile, però quali meraviglie, quanti personaggi, quante scoperte….
Se sei un travel blogger tranne che tu sia un illuminato e dunque in perfetto equilibrio ti sentirai almeno qualche volta nel pieno conflitto “partire o restare”? Secondo l’equazione:
Viaggiare = Libertà = Cambiamento = Leggerezza
Quotidiano = Stare = Routine = Pesantezza
Eppure le cose non sono mai così semplici, viaggiare può diventare pesante, e vivere in un luogo, crearsi una routine può divenire “leggero ed auspicabile” anche per il più convinto dei viaggiatori. Dunque ecco, che io, degna Oca Martin, vi porto in giro tra le pagine e riflessioni di alcuni dei miei nomadi preferiti.
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Viaggio come fuga per chi non sa vivere il presente, ma poi occorre fare i conti con i rientri…
Mi piace molto leggere il blog di Patatofriendly, perché al di là dei bellissimi viaggi che fanno in famiglia, l’autrice si concede (fortunatamente spesso) alcuni post di riflessione che siano sul viaggiare, sulla vita in famiglia, sul quotidiano. Attenzione non parlo assolutamente del grande fraintendimento sul “personal branding” che vede sciorinare in piazza pezzi della propria vita in famiglia, perché la celebrity del momento fa così. No, parlo di momenti di sana, sincera, pura condivisione, di “insights”, di quei pensieri che ci attraversano la testa in un lampo e se non li fermi subito su carta svaniscono via in un battito d’ali.
Francesca è una di quelle persone cui (io immagino) piace molto riflettere, mettersi in discussione, considerare e riconsiderare un’idea da tanti punti di vista. In Il Viaggio come Fuga confessa apertamente la sua (quasi) passata smania del viaggiare, viaggiare come fuga da un presente che non ti appaga, lo spiega meglio in un altro post :
“Per me il viaggio era una fuga. Facevo un lavoro per molti interessante eppure io non vedevo l’ora di scappare e volare lontano ricominciando a pensare alla partenza successiva non appena rientrata a casa…
Non ci vuole un genio per capire che non ero felice eppure io non lo capivo…
Poi sono diventata mamma e qualcosa è cambiato (…)
Ogni tanto la tentazione di tornare indietro alle “vecchie abitudini” e pensare alla prossima partenza dimenticando l’oggi c’è ancora, forte fortissima”
Ma quando viaggi per fuggire c’è un prezzo da pagare ad ogni rientro perché:
“ogni ritorno è un tassello di passato che non si incastra, una mancata occasione per crescere – non invecchiare badate bene – solo una mancata occasione per diventare se stessi”
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Anche i cuori nomadi sognano una casetta in cui fare ritorno…
Dale e Franca del blog Anglo Italian follow us sono tra i coraggiosissimi che hanno Mollato Tutto, venduto tutto quel che avevano e sono da anni in giro per il mondo. Sfruttando spesso la soluzione homesitting per soggiornare nei paesi che visitano. Dale confessa in un bel post che dopo anni di scelta convinta sulla decisione di viaggiare, si ritrova in alcune case a pensare “Vorrei che fosse mia, vorrei avere questa dimora stabile”.
“House sitting also has been fantastic for giving us more time in new locations, but rather curiously I found myself wishing that the place we were watching was my own. My kitchen, my bed, and my TV with all the sports channels (yeah, I miss football quite a bit).
Every time we were travelling some place new we’d both admit that it’d be nice if we were going “home”, a place neither of us thought we’d ever crave again when we sold everything we had way back then”
Non è un ricredersi sulle proprie scelte di vita. Ma immagino che “viaggiare stanca” e la possibilità di un punticino di appoggio, un piccolo nido in cui tornare dalle peregrinazioni nel vasto mondo, dopo un po’ cominci a tentarti…
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La zavorra che ci si porta dietro nei lunghi viaggi…
Quando mi sono affacciata sul mondo dei Blog (travel e non solo) mi sono presto imbattuta in Eli del blog “Too happy to be homesick”, ok già il nome ve la racconta tutta. Ma c’è di più se la scelta di “mollare tutto” riguarda anche un ambitissimo posto fisso e ci sono tutte le pressioni in famiglia a ricordarti quanto, in questo paese, quel posto sia assoluto privilegio. Eppure lei riparte, a breve dovrà decidere se questo ennesimo anno di aspettativa dovrà trasformarsi in rinuncia definitiva al posto di lavoro.
Mediante il suo blog hai una percezione reale di cosa significhi affrontare da sola una vita in viaggio. Una vita fuor dagli schemi e senza programmi, in cui vivi la tensione continua tra il programmare il domani (come siamo abituati a fare) e l’inutilità dello sforzo. Un mese in un continente e poi in un altro seguendo il caso ed il cuore. Tramite lei ho compreso il ruolo della routine, che ti evita di doverti reinventare ogni giorno. Cioè quel che rende un viaggio di uno/due mesi un’esplosione di libertà, magari se hai anno sabbatico di fronte o anche due il senso della libertà regge ancora, ma se diventa una prospettiva di vita intera? Ecco le cose si complicano. Quella libertà diventa un po’ meno sostenibile. Se ci sono incontri interessanti è esilarante, se è un periodo buio diventa ancora più buio. Svegliarsi ogni mattino e cercare di dare senso ed ogni volta una struttura alle tue giornate non sembra più un paradiso. Eli è molto sincera. Diversamente da altri travel-blogger che mandano foto di paradisi tropicali, cocktails a bordo mare in acque cristalline, sorrisi che ogni giorno vanno da un orecchio all’altro. Eli invece ti fa respirare anche un po’ le difficoltà di una scelta come la sua, condivide i suoi momenti di assoluto stupore e felicità, con quelli di down quando stai a chiederti se la tua scelta è così giusta.
In uno dei suoi post “il Viaggio tira fuori il peggio di te” Eli si racconta con il suo forte potere di introspezione e la sua avvincente dose di schiettezza…
Non si può risolvere tutto quanto e rinascere prima di una partenza. Ma almeno capire il perché di certe ansie, questo è fondamentale. Altrimenti vi ritroverete in una missione o in una squallida guesthouse da qualche parte del mondo, soli con voi stessi, e per scappare farete un biglietto per tornare a casa. Dove ricomincerà tutto da capo.
Io sono partita con i miei attacchi di panico e tutto. Ma prima ho fatto un lavoro su me stessa per qualche mese, per capirne le cause. Qualche attacco ancora mi prende, in viaggio, ma li so gestire. Così come sto imparando (a fatica, certo) a gestire il risentimento, l’aggressività, la rabbia. (…)
L’altro giorno ero in questa guesthouse di Kathmandu, e ho passato una domenica senza luce a combattere contro i miei soliti fantasmi. I fantasmi che di solito prendono un po’ tutti quelli che partono per un viaggio da soli, nel momento in cui rimangono soli davvero. In quei casi bisogna reagire. Cercare un luogo in linea a come ci sentiamo in quel momento. Bisogna aprire internet e cercare: un’associazione di donne espatriate, un gruppo che si incontra in quella città, un luogo spirituale in cui poter parlare con qualcuno”
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Partenze né facili né ovvie
Giulia, penna straordinaria del blog Una casa tutta per me – inseguendo il sole dentro, racconta la sua partenza tanto indispensabile quanto dolorosa, perché lasciarsi dietro tutto quel che ti ha richiesto una vita per essere costruito non è facile, non è una favola, non è come partire per una vacanza soltanto un po’ più lunga. Mollare tutto significa rinunciare ad un mondo che magari ci sta insopportabilmente stretto ma che ci avvolge con una serie di certezze e di familiarità…
“Avevo immaginato tante volte la partenza: senso di sollievo, distacco da terra, leggerezza, erano solo alcune delle emozioni che contavo di provare. Tutti a farmi mille incoraggiamenti, a invidiarmi, “e dai che lì è sempre estate!”, e io invece a fare i conti con i pezzi di me che ogni giorno ero costretta a lasciare. Credevo di non poter rinunciare a nulla, poi sono stata costretta a farlo. A un certo punto non sapevo neanche se chiamarlo coraggio, mi sono buttata sperando che il dolore finisse presto. Ho preso tutto quello che veniva senza contrastarlo, senza oppormi. Non volevo fingere di stare bene, non volevo sforzarmi. Ero troppo stanca e mi faceva male tutto: la testa, la pancia, il cuore, gli occhi gonfi di pianto. E’ stata la cosa più difficile che abbia mai fatto ma l’ho fatta. Male, bene, ma l’ho fatta. Sono in Brasile. Senza la mia casa, senza la mia famiglia, senza il mio cane. Senza i tanti pezzi di me.
(…)
Non mi stancherò di ripeterlo: cambiare non è facile. Non basta andare dall’altra parte del mondo, non basta svegliarsi in Brasile. Ma è importante che si faccia il possibile per non arrendersi, per non tirare avanti. Per smetterla di sopportare.”
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La nuova tribù: i Nomadi Digitali
Diverso ancora è il caso dei Nomadi Digitali. 1) si tratta di una sorta di supereroi che custodiscono un’intera vita in un bagaglio a mano da 10kg (io nemmeno quando esco di casa per andare al lavoro riesco ad essere così leggera). 2) si viaggia è vero, ma si lavora anche. Tra i nomadi il primo in cui mi sono imbattuta è stato Gianluca Orlandi autore di almeno 3 libri, il 1° per chi sogna di trasferirsi a Londra (per Gianluca fu una scelta strategica, una sorta di trampolino per poter poi fare il resto), gli altri 2 libri sono veri e propri manuali per Aspiranti Nomadi. Il Il Fatto Quotidiano lo ha intervistato e descritto le sue scelte di vita in questo articolo.
“Volevo iniziare dei progetti personali che mi permettessero di mantenermi mentre viaggiavo, perché avevo voglia di fare esperienze nuove. In totale ho girato 45 Paesi”, spiega. Il suo ufficio? Qualsiasi posto nel mondo che abbia una connessione wifi.
Adesso Gianluca lavora molte più ore di quando era dipendente “ma – dice – posso svolgere una professione di cui sono appassionato, e lo posso fare in qualsiasi parte del mondo – racconta – mi bastano il mio laptop e una connessione. Il mio ‘ufficio’ più scomodo è stato un ostello in Belize”. E di fermarsi, per il momento, non ne vuole sapere. “Ho vissuto 27 anni in Italia. Ora so che c’è un mondo da scoprire al di fuori. Per questo, finché ne ho voglia, carico lo zaino sulle spalle e vado”
Quel che mi ha impressionato è stato il numero di commenti negativi, diciamo pure al fiele, che fanno seguito all’articolo come se la ricetta di Gianluca fosse stata offerta al mondo intero come ricetta universale alla felicità. Lo si è accusato di scelte facili finché hai papà dietro a riaccoglierti a casa se le cose dovessero mettersi male (dando per scontato che se lavori da impiegato in azienda non potrebbe mai e poi mai accaderti di poter essere licenziato). Lo si è accusato che a diffondere il suo modello di vita a tutto il mondo questo non funzionerebbe più (Trovata geniale, è dall’età della pietra che l’uomo conta sulla “divisione del lavoro”, non c’è un solo mestiere che “facessimo tutti quello” porterebbe avanti l’umanità, fossimo tutti architetto avremmo comunque bisogno di manovali, fossimo tutti medici avremmo bisogno comunque di agricoltori ecc)
Ma mi chiedo il perché di tanto veleno, come se scelte di vita “non convenzionali” danneggiassero invece che arricchire l’umanità. Forse ci spaventa che qualcuno faccia cose diverse da noi, o piuttosto non è sana invidia per qualcuno che cerca di non farsi schiacciare dalle convenzioni?
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Rientro
Il rientro è il punto critico in cui leggerezza e pesantezza si scontrano… Sarà capitato a molti di rientrare da un lungo viaggio, sapere che si è cambiati dentro, che si è cresciuti che si è visto e vissuto tanto e trovare che a casa tutto è rimasto eguale ed immutato. Che non ci sono parole per raccontare quanto hai dentro, per descrivere il tuo viaggio. Puoi fare vedere foto, narrare qualche aneddoto, ma l’essenza del viaggio è troppo difficile da comunicare. Eppure fino al giorno prima era così facile capirsi con ogni fellow-traveller, poche parole e ci si intendeva, si era sintonizzati sulla stessa onda ed adesso tra te ed i tuoi amici e parenti più cari pare ci sia un muro impenetrabile, anche se loro neppure se ne accorgono. Ecco a voi 3 rientri molto molto diversi tra loro.
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Le sirene ammaliatrici ed il rientro dell’Expat
Della nostalgia per un mondo idealizzato ne parla, anzi ne fa le spese Roberta di Se anche il ragionier Ugo Espatria autrice del libro biografico “Eppure, me l’avevano detto”. Il nostro paese non ci appare mai così bello ed affascinante come quando ne stai lontano, così dopo 2 anni di espatrio in Germania la lontananza dalla famiglia, il calore delle relazioni umane cominciano a fare nascere una struggente malinconia. Roberta ben descrive in un suo post le sensazioni di un rientro dopo un breve soggiorno estivo nella sua Sicilia:
Poi però c’è la famiglia. Un anno è lungo senza vederla…esageratamente lungo…
Riabbracci il nonno che ha la veneranda età di 96 anni e al momento di ripartire piangi come un bambino perché non sai se avrai la possibilità di stringerlo ancora. Ritrovi i tuoi genitori che più invecchi più ti somigliano (o meglio…tu somigli a loro). Riascolti dal vivo (non su Skype) la voce dell’adorata zia che ti ha tirato fuori dai guai almeno un milione di volte…e non si stanca ancora di farlo. Finalmente puoi specchiarti nel volto di tua sorella (…)
Sento di appartenere a questa terra…senza limiti né vincoli…rimpiango solo il fatto di non poter condividere con tutte le persone che amo le meravigliose esperienze che ogni giorno vivo…
Il problema di quanti sono espatriati è essenzialmente che hai visto il meglio (ed il peggio) di 2 o più mondi e ti raffiguri (inconsapevolmente) un mondo ideale in cui mettere assieme il meglio di ciascuno:
Ho la netta sensazione di non appartenere più a nessun posto…di avere estirpato le mie radici trapiantandole in cima al mondo. Non c’è un posto dove vorrei essere e non c’è un posto dove non andrei…
Roberta e famiglia alla fine cedono alla Sirena Italia: perché non tornare in questo paese meraviglioso, adesso che più maturi abbiamo imparato tante cose, adesso che più consapevoli e grintosi possiamo portare la nostra esperienza e la nostra determinazione laddove prima eravamo più in balìa degli eventi?
Il ritorno in Italia per una serie di ragioni che vi invito a leggere sul suo blog non funziona. Se i nostri eroi sono cambiati, il mondo del Sud è esattamente fermo lì dove era. Ogni compromesso è improponibile e dopo un anno i nostri stanno preparandosi ad un nuovo espatrio. Anzi il Ragioniere Ugo è già in quel di Vienna, e la Ragioniera e la loro bimba attendono solo la fine dell’anno scolastico per raggiungerlo. Roberta riassume così, in uno dei suoi ultimi post, la sue idee sull’espatrio:
Per quanto sembri brutto, dal momento in cui decidete di partire dovete necessariamente chiudervi una porta alle spalle. Dovete concentrarvi solo sul vostro futuro, non potete nemmeno per un attimo cedere alla tentazione di provare nostalgia per quello che vi siete lasciati dietro. L’espatrio è una scelta, non c’è spazio per pericolose nostalgie. Dovete semplicemente abbracciare la vostra nuova vita e concedervi senza riserve…
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Il Rientro: dal Paradiso Perduto all’Inferno senza Rimpianti, o quasi.
“Questa cosa che scorreva e ci trascinava in un continuo – voglio di più – lasciandoci qualcosa di meno, non era vita. Eravamo troppo giovani per sederci su questa finta felicità e troppo cresciuti per illuderci che fosse ciò di cui avevamo bisogno”
Elena Sacco – qui baro un po’ perché non c’è un blog ma il suo bellissimo libro “Siamo Liberi” – ha viaggiato in barca per 7 anni con la sua famiglia, ha mollato una vita professionale che procedeva a gonfie vele ma pareva “mangiare tutto il resto”. La famiglia vende tutto quanto ha costruito negli anni e parte quando Nicole, la bimba grande, ha 7 anni ed il neonato è appunto un neonato.
“Lo smantellamento dell’attico panoramico su via Tortona fu uno strazio. Avevamo disegnato e realizzato noi tutti gli arredi (…) Guardavo con occhi nuovi cose a cui da tempo non prestavo più attenzione, come se anche lo scolapasta e l’imbuto fossero amuleti, capaci di ancorarmi a un passato che mi stava scivolando tra le mani.”
Dopo 7 anni trascorsi in posti meravigliosi dai Caraibi a Cuba alla Polinesia, Elena decide che di paradisi in terra ne ha avuto abbastanza. Che in quella dimensione del viaggiare c’è qualcosa di “effimero”, che si tratta di finti paradisi, perché Paradiso non può essere barricarsi dietro: 1) la povertà delle popolazioni locali, il paradiso è solo per i barcaroli occidentali che non vogliono vedere 2) Il Paradiso non ti include, ti ospita, ti trattiene, ti seduce, ti assopisce ma tu non fai parte del sistema, non gli appartieni, non puoi esprimerti e lavorare e se non lavori non puoi scontrarti con te stessa, con gli altri, e crescere… Il Paradiso è in realtà un limbo, sei in perenne movimento eppure sei fermo 3) stando così le cose meglio una fetta di inferno autentico che un’intera finta torta di paradiso.
Elena Sacco torna nel suo personale inferno che si chiama Milano, ricomincia a lavorare, a maledire tutte le complicazioni del quotidiano, e non fosse abbastanza le tocca anche lasciare il suo uomo che al Paradiso non vuole rinunciare. Mi fa una tenerezza infinita il piccolo Jonathan che deve affrontare la sfida di tenere su le scarpe per tutte le ore di scuola, di ingrigire in aula e soprattutto di farsi accettare dai bimbi “normali”, lui che ha visto il mondo rischia di passare per “l’animale strano” tanto è disorientato dal nuovo mondo e dai codici della civiltà.
“Il mio messaggio nella bottiglia è partito, ed è il finale del libro: il paradiso non è – da qualche parte. È quella cosa che può essere molto vicina o molto lontana da te, semplicemente perché o ce l’hai dentro o non ce l’hai.”
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Il Rientro come Viaggio Vero…
Chiudo questo post rubando le parole a Martina di Pimp My Trip che è per ben ¾ Oca Selvatica ma che a sorpresa ci svela anche il suo ¼ di Oca Martin in un post che titola Voglia di Vivere Viaggiando, perché questo è il sogno proibito realizzato dalle Oche Selvatiche, e carezzato da molte Oche Domestiche:
“mi capita di leggere storie e racconti di persone che riescono a realizzare il loro sogno: decidono di mettersi a viaggiare e partono per molti mesi, alcuni per anni, altri per sempre (…)
sorrido e mi accorgo che, per quanto io pensi continuamente a paesi lontani, a territori diversi e sconosciuti, che nonostante quella sete di avventura e di voler provare nuove esperienze che mi attanaglia lo stomaco, forse non è il coraggio di partire che mi manca, ma al contrario è tutto quello che ho intorno che mi mancherebbe troppo se me ne andassi e che la mia vita, anche se semplice e a tratti noiosa, è qui in questa mia amatissima città. Del resto, quello che ho oggi è perché l’ho voluto fortemente io. Ogni goccia di sudore che ho versato sui libri, prima al liceo e poi con l’università, ogni monetina del mio stipendio che ho gelosamente messo da parte per comprarmi un giorno la mia casa, ogni volta che ho creato dei legami l’ho fatto perché ero io che lo volevo e facendolo mi sono anche presa delle responsabilità che voglio continuare ad avere ogni giorno. Lo ammetto, continuerò ad invidiare le persone che hanno il coraggio di lasciarsi alle spalle la loro noiosa vita di ufficio e prendere un benedetto aereo, ma lo farò con la consapevolezza che io amo la mia vita così com’è, con i miei scazzi, la mia famiglia, gli amici, i gatti, il mio cagnolino e che per me il vero lungo viaggio è vivere insieme a loro ogni singolo giorno, anche se uno uguale all’altro, chiaramente cercando nel frattempo il volo per le prossime vacanze.”
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La Parola a Voi…
E voi vi ritrovate in questo “Conflitto del Viaggiatore”? Vi sentite più Akka di Kebnekajse o Oca Martin?
Capisco che ora penserete tutti che soffra di disturbo bipolare, ma non riesco a concepire un viaggio senza un rientro a casa. Quando sono a casa, penso spesso alle possibili prossime mete di viaggio e non ti dico quanto il mio pensiero sia assorbito dalla prossima partenza, quando ormai mancano davvero pochi giorni – ad esempio, ora la mia testa è tutta su Praga. Fuori sto benissimo, sono felice dei ricordi che posso conservare nella memoria; poi ad un certo punto viene la voglia di casa, di tornare a quella routine che d’altra parte pure mi appartiene. Torno casa con la voglia di organizzare un prossimo viaggio, ma anche con la contentezza di poter tornare alle mie abitudini quotidiane, che inevitabilmente si rivoluzionano quando sono via.
Buongiorno Bruna, no anzi credo che il “Male dei Viaggiatori” sia proprio quello: desiderano essere altrove quando sono a casa, e che (almeno nei lunghi viaggi) si possa essere fiaccati al punto dal desiderare di essere a casa. Ammettiamolo pure chi non ama viaggiare… ha una vita più facile! Per tutti gli altri la tensione dell’Oca Martin è inevitabile 😉
Beh, se considero a quanta tensione mi viene prima di prendere l’aereo e a quanto soffro a stare tutto il giorno a camminare, posso dire che abbiano vita “facile”. D’altra parte, senza viaggiare non ci so stare! Si verifica più o meno quello che succede a chiunque si dedichi con passione ad un’attività: musicisti e sportivi lo sanno bene quanto devono sacrificarsi per ottenere risultati! Accade una cosa molto simile 🙂 Ps: mi hai fatto venire un’idea per un articolo, grazie!
Sono stata come l’Oca Martin fino ai miei 19 anni, poi il richiamo dello stormo ha preso il sopravvento. Sono partita la prima volta pensando che mi sarei fermata, altrove. Sono trascorsi quasi 20 anni e sto ancora girando. Grazie per il bellissimo pensiero…
Quando ho visitato il tuo blog per le prime volte, quello citato è uno dei post che più mi aveva colpito: mettevi a nudo tutto il conflitto interiore dell’expat. Per anni ho vissuto fuori e sentivo fin nelle viscere la mancanza di casa, della famiglia, pur adorando quello che facevo. Neppure il rientro è stato un viaggio ovvio. Ma tu, mia cara Oca-Ughetta, spiegherai di nuovo le tue ali coraggiose a breve, e ci racconterai di questo nuovo volo. Buon viaggio 🙂
Grazie… 🙂
Bellissimo articolo! Sono nata un’Oca Martin, da sempre…. Avevo quelle ali selvatiche che mi erano stato tarpate dalla societa’ e famiglia che avevo intorno. Ho sognato di viaggiare e vivere fuori dall’Italia fino da che me lo ricordo….. Non sono una travel blogger (potrei definirmi una migrant blogger visto che mi piace vivere nei luoghi) ma anche io soffrivo quando avevo il lavoro fisso e non la valigia in mano…. facevo sacrifici indicibili per metter soldi da parte e andarmene via. Non mi ha mai trattenuto niente, perche’ sapevo che restare sarebbe stato un poco come morire.
Sono rientrata tre volte in Italia, troppe. Mi ha molto colpito questa tua frase “Forse ci spaventa che qualcuno faccia cose diverse da noi, o piuttosto non è sana invidia per qualcuno che cerca di non farsi schiacciare dalle convenzioni?” Specie l’ultima parte e’ quella che io considero reale, ho provato l’odio e la cattiveria delle altre persone sulla mia pelle perche’ per tanti aspetti non conformavo al resto della societa’ e le convenzioni.
Buongiorno a te, sicuramente hai un temperamento da “spirito libero” però mi pare che dopo averne vedute e vissute tantissime tu abbia trovato il … tuo posto nel mondo.
Hai ragione, mi ha colpito molto quanto per gli altri sia molto più facile “criticare” che non apprezzare o quanto meno essere incuriositi da chi decida di prendere strade non battute, di vivere (a suo rischio e pericolo e soddisfazione) una vita diversa… Pareva quasi che a banalizzare l’esperienza degli altri si possa scaricare tutta la propria frustrazione…
Io credo ognuno abbia la sua personale strada per la felicità, ed ammiro molto chi riesce a prendere decisioni coraggiose e fuori dal coro, ma anche chi riesce a vivere a pieno e mettere gioia anche in una vita apparentemente più semplice. Non è quello che fai (passare da un continente all’altro o vivere soltanto in un piccolo paesello) a fare la differenza, ma come lo fai… Grazie di avere condiviso con noi la tua esperienza <3
Hai ragione, non è quello che si fa ma come si fa che fa la differenza! 🙂 trovato il posto nel mondo? Hmm non ci giurerei… 😀 direi che ho trovato il modo per esprimere me stessa e qualcuno che è curioso sul mondo quanto lo sono io (mio marito). Quindi la parola fine al ‘posto nel mondo’ ancora non è stata scritta 🙂 una mia amica ha sempre definito “cuore gitano”, mi sa che è vero! 🙂
Ah no nel tuo caso per “posto nel mondo” non intendevo “a place forever” piuttosto una tua dimensione di vita 🙂
Posso solo dire che al rientro la mente è libera agile e dopo pochi giorni il benessere che avevi in viaggio anche tra mille difficoltà lascia il posto ai soliti pensieri statici e circolari. Il viaggio è una libertà di cui abbiamo tremendamente bisogno. In questo momento non ho soddisfazione nell’avere un posto fisso e non mi procura piacere neanche il periodo di stacco che ho seppur molto lungo. Penso che il punto sia anche trovare il piacere di una attività che dia un senso al proprio vivere quotidiano. E il viaggio di chi cerca e di tutte le persone sopra citate penso vada in questa direzione. Claudio
Claudio un po’ (anzi molto) mi ci ritrovo anch’io nelle tue parole. Sono soddisfatta del mio quotidiano da un punto di vista degli affetti immediati, mi manca un po’ il mondo favoloso dei viaggiatori dove nascono “magnifiche sintonie” nel giro di pochi minuti di conversazione… E non ho un rapporto proprio felice col mio lavoro, pur non potendo pararmi dietro il paravento di una vocazione mancata. Di qui l’estrema pesantezza dei rientri dopo l’assoluta sensazione di libertà sperimentata in viaggio 🙂
Proprio ieri leggevo queste parole di Nietzsche:”Diventare ciò che si è presuppone che non si abbia neppure una lontana idea di ciò che si è.Da questo punto di vista hanno un loro senso e un loro valore anche i passi falsi della vita, le temporanee deviazioni e le vie perdute, le esitazioni, le risoluzioni modeste, la serietà sperperata in compiti che stanno al di là del compito.”
In questi giorni mi sto arrovellando su un trasferimento da fare o non fare poi mi è una bastato poco per capire che era un cambiamento illusorio e che il vero cambiamento sarebbe fare una scelta completamente diversa con un rischio maggiore .Insomma per dire che si prova ognuno a suo modo, con i propri valori e con la propria visione del mondo.E anche la pesantezza dei rientri ha un senso se ti da più forza per una nuova ripartenza.
Buongiorno Claudio, ti rispondo con ritardo ma ho portato con me tutta la settimana questa tua citazione. Dà un senso a quei tanti di noi che nascono senza una vocazione forte (il richiamo per una particolare professione o comunque scelta di vita), ma allo stesso interessati a mille piccole cose forse troppe per lasciare che il cammino più ovvio (Lavoro-casa-chiesa) si compia in maniera indolore… Ecco io nella mia vita sono lenta, non ho mai battuto i tempi, ma forse non conta arrivare primi (non per me almeno), né la traiettoria più diritta, forse le esitazioni e ripensamenti sono solo sintomo di un atteggiamento creativo verso la propria vita… Bello, grazie davvero. Poi aggiornami sui tuoi cambiamenti 🙂
Già, che grande conflitto. Qui parla Oca Martin. Quando ho cominciato a viaggiare a dir la verità, tutto ho pensato, ma mai che potesse essere così difficile. Questi ultimi anni lontani da casa e in giro per il mondo, se si può dire, mi hanno un po’ scombussolato. Ho fatto ritorno a casa, perchè sentivo che mi chiamava a gran voce. Stolti noi che partiamo tanto a cuor leggero. Alla fin dei conti chi hai mai detto che il tornare va contro i nostri principi di viaggiatori a girovaghi? Tornare a casa è allo stesso tempo un altro tipo di viaggio. Per me però restare è come un ricaricare le energie. Più resto e più mi accorgo di quanto più forte è il mio desiderio di trovare il mio piccolo grande mondo altrove perchè sento che non è qui. Casa e i ritorni servono anche a questo.
Ciao Marco, perdonami ma dopo un’occhiata veloce al tuo blog… direi che sei più un Akka di Kebnekajse che un’Oca Martin. Probabilmente non ci sono oche bianche al 100% come non ce ne sono di selvatiche al 100% tu però sembreresti decisamente sbilanciato sulla parte selvatica, che come tutti i migratori tende a tornare ma anche ad andare andare andare. Grazie del tuo commento “Alla fin dei conti chi hai mai detto che il tornare va contro i nostri principi di viaggiatori a girovaghi? Tornare a casa è allo stesso tempo un altro tipo di viaggio (…) Più resto e più mi accorgo di quanto più forte è il mio desiderio di trovare il mio piccolo grande mondo altrove perché sento che non è qui. Casa e i ritorni servono anche a questo” che così bene esprime uno dei più forti conflitti del viaggiatore, la tensione continua tra il restare e l’andare. Buoni voli ma spero di vederti tornare anche tra le pagine di questo mio blogghino 🙂
Bellissime riflessioni, sono convinto che ognuno di noi deve seguire il proprio istinto e fare quello che ritiene più corretto senza farsi influenzare da nessuno o da quelle voci “invidiose” per una scelta di vita che non avranno mai il coraggio di fare. Io dopo diversi anni a partire e tornare “a casa” ho deciso di lasciare definitivamente alle spalle l’Italia anche se spesso mi manca, come è normale che sia, ma sono convinto al 200% della mia scelta!
E a te cos’altro dire Gianluca? Continua a viaggiare, anzi piuttosto a vivere il mondo anche per noi Oche Domestiche e soprattutto non ti stancare mai di raccontarcelo… 🙂
Carissima Roberta, dici bene: chi non ama viaggiare, ha la vita più facile !!!
Sai perchè ? Perchè chi si accontenta gode… ed io purtroppo non godo mai !!!
Bellissimo post ed altrettanto interessanti i commenti dei veri viaggiatori o di chi comunque se ne è andato per una vita migliore.
Il senso del dovere mi ha sempre impedito di spiccare quel volo… sono uno di quelli che “sopporta” la vita quotidiana. Ho avuto comunque finora la fortuna di girare molto e devo dirti che nel mio piccolo, anche dopo viaggi di 3 settimane, non mi era proprio tornata la voglia di rivedere casa e tutto il resto…
Ora che per diversi motivi devo stringere sempre di più il compasso dei miei orizzonti, mi pesa non poco, ma cerco anche nelle piccole fughe quotidiani di ritagliare i miei spazi, che vorrei invece, forse egoisticamente infiniti !
Comunque non è mai finita finché non è finita e quindi mai direi mai… magari anche 60/70 anni se ci arrivo, inizierò a peregrinare per quel che resta del mondo…
Max ma questo è un vero e proprio “Coming Out”: sei un’autentica Oca Martin! Confesso che ti immaginavo felice e soddisfatto del quotidiano e quando possibile “che bello farsi un bel viaggio!”. Non pensavo fossi a guardare il passaggio delle Oche Selvatiche desideroso di prendere il volo quanto prima. Quanto ai viaggi dai 60 (70-80 in questo paese temo anche 90)anni in poi, adoro Alison & Don di Adventures in Wonderland ~ a pilgrimage of the heart, 2 settantenni rampanti che hanno mollato tutto per vagare per il mondo fino a che riusciranno…
Felice di averti stupito ! Eppure è proprio così ! Ocone Max !!! Sono conscio delle molte fortune che ho e non ci sputo sopra, ci mancherebbe… ma insoddisfatto…
Oca Robbi ad Oca Max: prepariamo uno stormo per la prossima migrazione 🙂