Venezia, Venezia, Venezia. Stasera mentre ci aggiriamo attoniti da questa città che è eterna fiaba, non c’è traccia della solita malinconia di fine giornata. Stasera, Venezia, non andiamo via. Siamo qui per restare.
Siamo arrivati pian pianino da Padova con un lento regionale. Ho potuto gustare ogni attimo dell’ingresso in laguna. Persino le alte ciminiere di Marghera, sospese nella nebbiolina e nel grigio hanno il loro fascino, segnano l’ingresso in un territorio troppo diverso da tutto il resto, qui tra terra e mare.
Mi lascio alle spalle intense giornate di lavoro, preoccupazioni e qualche problema di troppo. Adesso non esiste null’altro. Siamo in laguna con tutta l’emozione di un vecchio sogno che infine si realizza. Siamo sul lungo rettilineo che porta a Venezia. Tra maree che salgono e scendono, lingue di terra grondano acqua, più tardi saranno nuovamente sommerse. Sabbia, acqua e gabbiani. Occorre arrivare lenti a Venezia per comprendere il cambio di dimensione che ci aspetta. È bene che si arrivi quasi di sera quando vista ed immaginazione, confondendosi l’uno nell’altro, ti aiutano a vedere oltre le cose.
All’orizzonte le prime cupole, le prime file di case, agli ultimi raggi di sole ancora se ne indovinano i colori pastello.
Facciamo l’abbonamento settimanale al vaporetto (costa un po’, eh!), noi amiamo camminare e potremmo farne a meno. Ma la mia idea è che il vaporetto non sia affatto un comune mezzo di trasporto. Per cominciare ti offre un altro punto di vista, Venezia dai canali, Venezia passando sotto i suoi ponti, Venezia in mare aperto, e poi scivolando sull’acqua con quel continuo rollio ho l’impressione che ogni mia smania si arresti, che possa ritrovarmi in pace con i miei pensieri. Venezia è la città ideale per pensare e smarrirsi nei propri sogni, il vaporetto una scusa per fermare ogni azione e lasciarsi andare.
Una volta imbarcato a Frodo tocca la museruola. Sono preparata, lo avevo letto nel libro di Danilo Mainardi che anche a lui toccava di infilare la museruola al suo Orso (che poi era anche lui un golden retriever). Uso il suo stesso espediente, dopo aver comperato 2-3 museruole che mi sono sembrate una più deprimente dell’altra, con lo stesso guinzaglio formo un anello che si ferma con il moschettone, è largo abbastanza da fargli tenere la bocca semiaperta e respirare tranquillamente dalla bocca, e sicuro abbastanza da superare i controlli. Senza dirlo a Giovanni ho ignorato l’arrivo del 51 che in 4-5 fermate ci avrebbe portato dritti dritti a casa. Prenderemo la circolare anche se significa, non lo so, 10-15 fermate. Siamo arrivati piano in treno, e piano voglio proseguire verso casa.
A Padova abbiamo incontrato Annamaria, la homelinker che ci ospiterà per una settimana – si certo siamo a Venezia con lo Scambiocasa. Mi piace la parlata dei Padovani, hanno un accento solare ed un particolare ritmo sincopato e veloce nel parlare. Una vivacità mediterranea direi, che non è proprio quel che ti aspetti dai Veneti (almeno quelli che più costantemente appaiono in TV). È un’insegnante (tipica) di matematica (atipica). Ecco dai suoi modi avrei giurato un’insegnante di lettere. Ha il viso rotondo e dolce. Sorride spesso, le piace raccontarsi un po’, con alcune piccole significative pause. Ci racconta del suo specialissimo legame con Palermo (e forse per questo che trasuda “mediterraneità”?), e ci tornerà ancora prossimamente con 4-5 amiche. In attesa della pensione che si allontana (su questo la pensa come noi) meglio godersela da subito.
Il vaporetto scivola lento nelle acque blu del Canal Grande. Mi piace far passare lo sguardo dalle facciate belle (“la testata di un letto principesco” dice la Guida di Corto Sconto), alla profondità delle calli, ai campanili talvolta inclinati, agli interni dei palazzi che illuminati svelano un po’ della loro intimità. Il campanile e piazza San Marco, sono una visione d’Oriente che si apre ai nostri occhi, con tutta l’emozione che si ripete ogni volta…
Scendiamo ai Giardini. Di Venezia ho i polmoni pieni, di quella sua aria salmastra dal profumo sempre più aereo man mano che dal Canale ci si avvicina al mare aperto. Al buio attraversiamo il parco, Campo San Giuseppe dal pavimento lucido di pioggia, qui la prima vera da pozzo di questo soggiorno Veneziano. Rio Tera, Calle della Cenere, ed eccola lunga e stretta la nostra Calle delle Ancore nel cuore del Sestiere Castello. Mi ripeto ogni nome “Rio”, “Calle”, “Sestiere” la toponimia come i nomi degli oggetti (Vera da Pozzo, Tera), cosa di più lontano da quel che ho lasciato sulla terraferma? Al numero 1XXX la porta di casa.
È un intimo e delizioso monolocale, ci staremo benone. Frodo è persino più entusiasta di noi, ogni volta mi sorprende quanto gli piacciano i posti nuovi. Usciamo subito speriamo di essere ancora in tempo a fare la spesa nella vicina Via Garibaldi. Non solo ce la facciamo, ma appena tornati a casa lasciamo la spesa ed usciamo di nuovo, come invasati dall’idea di assaporare ogni boccone di questo arrivo a Venezia. Al cane non pare vero che i due soliti pigri marmittoni, gli regalino uscite su uscite, ecco perché adora le vacanze.
Si ripete il rito di sempre, l’attrazione gravitazionale per Piazza San Marco è un karma. Ma è diverso arrivarci di sera, c’è gente certo ma non così tanta, è ancora inverno, il Carnevale è terminato, per Venezia è un momento di breve pausa tra le diverse ondate di turisti che la vivono. Il Palazzo dei Dogi proietta la sua aura anche in piena notte. I mori battono le 22,00, nella luce dei lampioni ovattata da una sottile nebbiolina si rivelano le geometrie della procuratie.
Si rientra, infine, di nuovo in vaporetto, mangiando aria salmastra e riflessi di luci gialle…