Ultimo giorno a Londra con Giangi, mio fratello, e Dani, la cognata. Dani oltre che Harrod’s conosce la città a menadito, noi siamo alle prime armi. Inoltre in previsione della giornata di domani a Kew Gardens (cani non ammessi), oggi vogliamo fare sgroppare un po’ il bestiolino. Li rivedremo direttamente in serata per fare avverare un sogno che entrambe coviamo da tempo.
Dal West End a Canary Wharf
I nostri ospiti dello scambio casa ci hanno consigliato un itinerario a piedi fino a Canary Wharf.
Prima grande sorpresa: Limehouse, la nostra fermata della metro (DLR), se di fronte dà sulla Commercial Road, alle spalle invece si affaccia su un dock. E mica l’avevamo capito di essere così vicini al Tamigi.
È bastato arrivare al The Grapes Pub per lasciarsi alle spalle quell’aria confusionaria da Corso Buenos Aires che ha la nostra zona, per vedere condomini lindi e pinti, joggers a profusione tutti con Nike ed IPod, e nel succedersi dei dock passaggi fra gli alti palazzi e ponticelli tutti rigorosamente riservati a pedoni e biciclette.
Cento metri e sconfini da un quartiere all’altro, da un’atmosfera ad un’altra, da uno status sociale ad un altro… incredibile.
Pochi minuti ancora e siamo a Canary Wharf, l’angolo più New Yorkese di tutta Londra. No, non sono solo i grattacieli (ne hai di più belli nella City), ma è quell’alternarsi di fiume, docks, uffici, business men e aree verdi impeccabili che escono dallo schema più libero ed informale del tipico parco inglese.
L’imbarco per Greenwhich ed un Sikh dal turbante arancione
A Canary Wharf vogliamo imbarcarci per Greenwich con il ferry.
A farci il biglietto c’è un Sick magro magro dal volto scaltro, profilo tagliente, barbetta e turbante di un arancione splendente.
“2 single adults + dog,” gli dico.
Prende le nostre Oyster Cards, le passa allo scanner e “7£ for you two” guarda il cane “£10 for the dog”
“WOW!” stramazzo io.
Lui mi guarda sorpreso della mia reazione. Gianni da dietro mi chiede cosa c’è che non va, io gli comunico la novità e lui mi sborbotta qualcosa in risposta.
L’indiano continua a fissarci come stupito della nostra reazione, ed io protesto: “I know it’s not your fault but £10 for the dog, it’s really a lot of money” (non sarà colpa sua ma £ 10 per il cane sono un sacco di soldi).
Lui, teatralmente, alza gli occhi al cielo e lascia andare un lungo sospiro.
Giovanni si è ripreso dallo shock ”diamine, per 10£ Frodo ha pieno diritto a sedere in poltrona”.
Io che in genere faccio da moderatore se non da censore, stavolta traduco senza peli sulla lingua.
L’indiano serio scuote la testa, come di chi non ha colpa e può solo sottostare a forze superiori, e mi ripete 17£.
Mi porge il Pos in cui infilare la carta di credito, ma quando vado per digitare il pin, leggo £7. Lo guardo sorpresa.
“It’s only your ticket, dog doesn’t pay: it was a joke” ed il suo viso fino a quel momento imperscrutabile si apre ad un larghissimo sorriso. Ci ha preso in castagna. Nel cuore di Londra c’è ancora spazio per gli scherzi!
Gentilezza e rudezza Made in England
All’arrivo della nave non riusciamo a salire, il marinaio ci dice che ci sono solo 3 posti liberi, due ragazze attendevano prima di noi. Non facciamo in tempo a pensare di lamentarci che dalla biglietteria (quella col Sick) una ragazza ci viene incontro, ci dice che è molto sorry. Ci rassicura che la prossima nave arriva tra 15 minuti, e che possiamo fare un giro nei dintorni senza perdere il nostro posto nella fila e di nuovo “I’m very sorry”. Cioè non so se il tutto è ben chiaro.
Siamo in una città di 9 milioni di abitanti e non voglio neppure sapere quanti turisti, e loro vengono a “consolare” noi per una mancata corsa? Ma da noi l’autobus ti passa davanti e l’autista bastardo non solo pretende di non vedere te che corri come una matta in mezzo alla strada agitandoti tutta nel vano tentativo di fermarlo, ma cerca pure di prendere la pozzanghera più grossa per divertirsi un po’.
Io è per questo tipo di cose che adoro gli inglesi. Intendiamoci quando vogliono essere scostanti e puzza sotto il naso lo riescono a fare con una verve unica, il tedesco può essere così brutale da diventare una macchietta di sé, il francese pompato te lo smonti con una sferzante ironia; l’inglese invece ti gela e tu non riesci a trovare armi utili nel tuo pur sovrabbondante repertorio da Italiano svezzato a tutto.
Come quando i nostri ospiti londinesi ci scrivono senza mezzi termini che non solo la donna delle pulizie verrà (che noi vogliamo o meno, che noi teniamo tutto pulito o no), ma che per le 9,00 am di Martedì mattina “It’s better that you get out of the way, when she comes in.”
E che deve fare una disinfestazione totale?
Ad ogni modo abbiamo preferito sgombrare (vincono sempre loro, ve l’ho detto).
Un’altra volta che cercavamo di arrivare a Kew Gardens un impiegato della metro ci ha identificato, col suo occhio bionico, come “bisognevoli di aiuto” in una valanga umana di gente che scendeva dal treno, ci ha chiamato fino a lui per chiederci se avevamo bisogno di qualcosa.
“Sì vorremmo sapere se è proprio questo il treno da prendere per andare dove vogliamo andare”
“La piattaforma è giusta, ma il treno non è questo, è il prossimo”.
Non lo fa per dovere, è gentile, carino e sorridente (sì proprio fighetto, anche se Giovanni non è d’accordo).
Ma dove li trovano dei dipendenti così? Fa parte della formazione? Boh!
Poi mi fa impazzire quando nella metro nelle ore di punta, la security, sempre sorriso in pieno viso, guida in qualche modo questa enorme valanga multietnica multiforme di turisti e non, ci guidano come un enorme fiume di docili pecore. “Piccadilly circus this side, please.” “Oyster cards in here.” “Wimbledon follow on the left.”
È certamente il momento più sbagliato per chiedere informazioni. Ma io devo scoprire “il fino a che punto”. “May I ask you a question?” chiedo alla security più spintonata dalla marea di gente, “Certainly you can” e sottointende “sono qui per questo” mi sorride anche, con dolcezza, come un pastore alla sua pecorella smarrita.
Greenwich in due parole
Vabbè poi siamo arrivati a Greenwich, ed abbiamo visitato il visitabile e non vi aspetterete da me che vi faccia la cronaca delle attrazioni turistiche? Siamo dei non-travel blogger. Doloroso ma è così. Però vi lascio qualche foto nella gallery, così vi fate un’idea. C’è anche quella del Trafalgar Tavern, uno dei rarissimi pub (e bello pure) in cui ci hanno fatto entrare con Frodo: Hooray!
St Martin’s Theater e Trappola per Topi
A sera poi ci incontriamo con Danila e Gianluca presso il St. Martin’s Theatre, per vedere la commedia/giallo di Agatha Christie “Trappola per Topi”.
Ho letto millemila volte il libro, ma qui a teatro mi gusto tutto dall’allestimento del set, una pensione di metà ‘900, al camino acceso, alla neve che cade giù dietro la finestra. Gli ospiti che arrivano uno alla volta con il loro carico di stramberie. Il delitto, i sospetti, la “paura” che in realtà nei romanzi della Christie non è mai “paura” vera, è piuttosto un deliziarsi nell’attesa che avvenga… un nuovo delitto appunto. Per gli amanti di Madame Christie, non è consigliatissimo, di più è un MUST!
Sul momento avevo pensato che il sikh l’avesse buttata sullo scherzo perché vi eravate lamentati. Si vede che sono italiana! Da noi spesso è alzare la voce a fare la differenza, purtroppo. Complimenti a Frodo, che è tanto fotogenico, senza nulla togliere a Giovanni. 🙂
Vero Grazia, anche noi avevamo qualche sospetto ma c’era anche la tipa che poi è stata tanto gentile… noi Italiani le pensiamo tutte!!!
Che bel post!! Lo scherzo del sikh è bellissimo, è evidente che si divertano un po’ per far passare il tempo, altrimenti sai che noia?
Frodo, come sempre UNICO. Ma anche Giovanni in queste foto non scherza in quanto a espressioni facciali! Concordo con la gentilezza/rudezza degli inglesi, ma li amiamo anche per questo.
Ci ha davvero presi in castagna, ci siamo cascati senza manco un’ombra di dubbio, e lui ha recitato la sua parte fino in fondo! Decisamente se Severgnini non avesse già scritto il libro, rubandoci l’idea, lo avremmo scritto io e te: “Inglesi!” 😉
“l’inglese invece ti gela”.. Hai perfettamente ragione.. Soprattutto su quello che hai detto dei Francesi.. eh eh..
Ciao Fabiano, ti confesso che mi diverto malvagiamente ad usare gli stereotipi… per i francesi credo che quella figura calzi abbastanza a pennello per i parigini, nel resto della Francia, soprattutto quella rurale, ho trovato sempre, da nord a sud, tanta gentilezza 🙂
Inglesi…ahahha gli stereotipi, checché se ne dica, spesso sono veritieri 😀
Frodo nella cabina *-*
Ci gioco, ci maligno, l”importante poi è saperne anche fare a meno 😉